-
Notifications
You must be signed in to change notification settings - Fork 0
/
Copy pathpizzi.littrans2024.txt
2185 lines (1896 loc) · 105 KB
/
pizzi.littrans2024.txt
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
31
32
33
34
35
36
37
38
39
40
41
42
43
44
45
46
47
48
49
50
51
52
53
54
55
56
57
58
59
60
61
62
63
64
65
66
67
68
69
70
71
72
73
74
75
76
77
78
79
80
81
82
83
84
85
86
87
88
89
90
91
92
93
94
95
96
97
98
99
100
101
102
103
104
105
106
107
108
109
110
111
112
113
114
115
116
117
118
119
120
121
122
123
124
125
126
127
128
129
130
131
132
133
134
135
136
137
138
139
140
141
142
143
144
145
146
147
148
149
150
151
152
153
154
155
156
157
158
159
160
161
162
163
164
165
166
167
168
169
170
171
172
173
174
175
176
177
178
179
180
181
182
183
184
185
186
187
188
189
190
191
192
193
194
195
196
197
198
199
200
201
202
203
204
205
206
207
208
209
210
211
212
213
214
215
216
217
218
219
220
221
222
223
224
225
226
227
228
229
230
231
232
233
234
235
236
237
238
239
240
241
242
243
244
245
246
247
248
249
250
251
252
253
254
255
256
257
258
259
260
261
262
263
264
265
266
267
268
269
270
271
272
273
274
275
276
277
278
279
280
281
282
283
284
285
286
287
288
289
290
291
292
293
294
295
296
297
298
299
300
301
302
303
304
305
306
307
308
309
310
311
312
313
314
315
316
317
318
319
320
321
322
323
324
325
326
327
328
329
330
331
332
333
334
335
336
337
338
339
340
341
342
343
344
345
346
347
348
349
350
351
352
353
354
355
356
357
358
359
360
361
362
363
364
365
366
367
368
369
370
371
372
373
374
375
376
377
378
379
380
381
382
383
384
385
386
387
388
389
390
391
392
393
394
395
396
397
398
399
400
401
402
403
404
405
406
407
408
409
410
411
412
413
414
415
416
417
418
419
420
421
422
423
424
425
426
427
428
429
430
431
432
433
434
435
436
437
438
439
440
441
442
443
444
445
446
447
448
449
450
451
452
453
454
455
456
457
458
459
460
461
462
463
464
465
466
467
468
469
470
471
472
473
474
475
476
477
478
479
480
481
482
483
484
485
486
487
488
489
490
491
492
493
494
495
496
497
498
499
500
501
502
503
504
505
506
507
508
509
510
511
512
513
514
515
516
517
518
519
520
521
522
523
524
525
526
527
528
529
530
531
532
533
534
535
536
537
538
539
540
541
542
543
544
545
546
547
548
549
550
551
552
553
554
555
556
557
558
559
560
561
562
563
564
565
566
567
568
569
570
571
572
573
574
575
576
577
578
579
580
581
582
583
584
585
586
587
588
589
590
591
592
593
594
595
596
597
598
599
600
601
602
603
604
605
606
607
608
609
610
611
612
613
614
615
616
617
618
619
620
621
622
623
624
625
626
627
628
629
630
631
632
633
634
635
636
637
638
639
640
641
642
643
644
645
646
647
648
649
650
651
652
653
654
655
656
657
658
659
660
661
662
663
664
665
666
667
668
669
670
671
672
673
674
675
676
677
678
679
680
681
682
683
684
685
686
687
688
689
690
691
692
693
694
695
696
697
698
699
700
701
702
703
704
705
706
707
708
709
710
711
712
713
714
715
716
717
718
719
720
721
722
723
724
725
726
727
728
729
730
731
732
733
734
735
736
737
738
739
740
741
742
743
744
745
746
747
748
749
750
751
752
753
754
755
756
757
758
759
760
761
762
763
764
765
766
767
768
769
770
771
772
773
774
775
776
777
778
779
780
781
782
783
784
785
786
787
788
789
790
791
792
793
794
795
796
797
798
799
800
801
802
803
804
805
806
807
808
809
810
811
812
813
814
815
816
817
818
819
820
821
822
823
824
825
826
827
828
829
830
831
832
833
834
835
836
837
838
839
840
841
842
843
844
845
846
847
848
849
850
851
852
853
854
855
856
857
858
859
860
861
862
863
864
865
866
867
868
869
870
871
872
873
874
875
876
877
878
879
880
881
882
883
884
885
886
887
888
889
890
891
892
893
894
895
896
897
898
899
900
901
902
903
904
905
906
907
908
909
910
911
912
913
914
915
916
917
918
919
920
921
922
923
924
925
926
927
928
929
930
931
932
933
934
935
936
937
938
939
940
941
942
943
944
945
946
947
948
949
950
951
952
953
954
955
956
957
958
959
960
961
962
963
964
965
966
967
968
969
970
971
972
973
974
975
976
977
978
979
980
981
982
983
984
985
986
987
988
989
990
991
992
993
994
995
996
997
998
999
1000
<pb n="239"/>
TRADUZIONE LETTERALE DEI PRIMI OTTO CAPI DELL’ ANTOLOGIA
(Vedi la Prefazione).
I. IL RE HOÒSHENG.
(Vedi l’Introduzione premessa al testo).
Siyâmek fortunato aveva un figlio che presso l’avo
suo (Gayûmers, padre di Siyâmek, primo re e primo
uomo, v. il Vocab.) teneva il postò di consigliere. Di questo
valoroso il nome era Hôsheng; tu diresti che egli era la
Prudenza e l'Avvedutezza in persona. Presso all’ avo
suo egli era come un ricordo del padre suo (Siyâmek, il
padre di Hôsheng, era stato ucciso dal Dêvo Nero), e
quest avo l'aveva allevato nel suo grembo. L’avo (ash
dipende da dâshtî) lo teneva in luogo del figlio, e, fuor
di lui, non poneva su nessun altro gli occhi (sing.).
Allorquando egli pose il cuore (pensò, ebbe intenzione)
alla vendetta ed alla guerra (per vendicar la morte di
Siyâmek), chiamò a sè quel valoroso Hôsheng, tutte
le cose che dovevano avvenire, a lui raccontò, tutti
i secreti gli aprì dall’ intimo dell’ animo, dicendo: Io
voglio fare (radunare) un esercito, voglio levare un grido
di guerra. A te intanto esser conviene il capitano,
poichè io sono per andare (cioè son vicino a morire,
<pb n="240"/>
sono vecchio e non posso sostener la fatica di guidare
un esercito) e tu sei novello (giovane) capitano.
Così egli (Gayûmers) radunò Perî (v. il Vocab.)
pantere e leoni, tra gli animali sbrananti radunò lupi e
tigri coraggiose (Gayûmers qui raccoglie nel suo eser-
cito anche le fiere, e ciò in forza del concetto che il
male rappresentato dai Dêvi si fa sentire a tutte le crea-
ture, e però tutte, comprese le fiere, devono combatterlo1
secondo le loro forze). Era un esercito di animali e di
uccelli e di Perî, e il capitano precedeva con lorica e valore.
Dietro al tergo dell'esercito stava re Gayûmers, e il
nipote so (Hôsheng) andava innanzi con l'esercito.
Venne allora il Dêvo Nero frero di terrore e sgomento,
e intanto fino al cielo egli spargeva (sollevava) la polvere;
per gli urli delle fiere laceranti (armate d’artigli) le branche
(al sing.) del Dêvo restarono rintuzzate agli occhi del re
del mondo (Gayûmers). Ambedue le schiere caddero
insieme (si scontrarono), e i Dêvi furono oppressi (sgomi-
nati) dalle fiere (dell esercito di Gayûmers). Hêsheng
allora, come leone, allungò la mano, e fece angusto il
mondo (frase iperbolica per dire: ridurre all’ estremo
qualcuno) al maligno Dêvo; gli trasse da capo a piedi
tutto insieme un vincolo di cuoio (lo legò da capo a
piedi); il capitano (Hôsheng) gli troncò quella testa senza
pari (orribile più di ogni altra); lo gettò ai suor piedi e
lo calpestò ignominiosamente, dopo avergli (lett. sopra di
lui) lacerata la pelle, dopochè ogni cosa fu ridotta al-
l'estremo fer lus.
Quando Gayiêmers riuscì quale esattore di quella
vendetta, giunse per Gayûmers la vita alla fine. Egli
se ne andò (morì), e il regno del mondo rimase di lui
come eredità; e tu osserva a chi mai dopo di lui toccherà
un stile onore. Egli occupò (dominò) il mondo inganna-
1 Questa idea è stata più ampiamente svolta nel mio Discorso sull Epopea
persiana premesso ai miei Racconti Epici di Firdusi, c. II, 9.
<pb n="241"/>
tore; percorse la via dell’ utilità in pro degli uomini, ma
egli non godè alcun frutto. Il mondo da capo a fondo
è come una illusione e anche di più; in esso non dura il
male e il bene per nessuno.
Hosheng quindi, signor del mondo, con senno e
giustizia in luogo dell’ avo so si pose sul capo la corona.
Si rivolsero sopra di lui quaranta giri annui di sole, su
di lui cioè pieno il cervello (la mente) di senno e pieno
il cuore di giustizia. Allorquando egli si fu seduto sul
trono della grandezza, così parlò su quel soglio della
maestà reale: Sopra i sette climi (kishvar, v. il Vocab.)
sono io re, vittorioso in ogni luogo e di libera volontà,
per comando di Dio vittorioso, cinto strettamente la cin-
tura (cioè sempre pronto, lat. accinctus) per la giustizia
e la liberalità.
D’allora in poi egli abbellì tutto insieme il mondo e
fè piena di opere di giustizia la faccia del mondo. Primiera-
mente gli venne alle mani (gli accadde di scoprire) una
nuova materia, ed egli con sapienza separò la pietra dal
ferro (scoprì l'uso del ferro). Fece egli capitale (cioè sor-
gente di ricchezza) il ferro risplendente che egli da quelle
rupi traeva fuori. Quand’ egli ebbe conosciuto (appreso)
tutto ciò, fece (esercitò) l'arte del fabbro, inquantochè di
esso (di ferro) compose bipenni, seghe e scuri. Quando
ciò fu fatto, egli fece (trovò) l'arte dell’ acqua, la trasse
cioè dai fiumi (sing.) e inaffiò (lett. accarezzò, abbellì) la
campagna. Fece (aprì) la via all’ acqua per i rigagnoli e i
ruscelli (sing.), e con la sua reale maestà abbreviò la
fatica del lavorar la terra. Allorquando gli uomini, fatti
da lui sapienti in ciò, progredirono fino a spargere la
semenza e ad attendere alla seminagione e alla mietitura,
ciascheduno di essi d’allora în poi sî preparò il proprio
pane, lavorò la ferra e conobbe i proprii confini, inquan-
tochè prima che questi fatti (queste cose) fossero preparati
(compiuti), non vi era cibo (plur.) alcuno fuor dei frutti
<pb n="242"/>
degli alberi, e tutte le opere (sing.) degli uomini non
erano in buona condizione, perchè il vestire di loro tutti
era, allora, soltanto di foglie.
Gli avi nostri avevano anche una legge e una reli-
gione e l'adorazione divina (di Dio) era dinanzi (cioè era
in onore). A quel tempo era il fuoco che ha bel colore,
come (quale) è ora per gli Arabi il tempio della Pietra
sacra (posta nella Kaaba, v. il Vocab.; Firdusi scriveva
nel 1000 e la Persia già erasi convertita alla religione
degli Arabi); ma il fuoco che è rascosto dentro le pietre,
per lui (Hôsheng) venne manifesto (venne alla luce;
Hôsheng trovò l’uso del fuoco), dal qual fuoco si sparse
poi la luce nel mondo.
Un giorno il re del mondo (Hôsheng) si recò al
monte con alcuni in compagnia, guardo gli apparì di
lontano una cosa lunga, di colore oscuro, di nero corpo
e veloce al corso. Due occhi aveva al di sopra della
testa come due fonti di sangue; e pel fumo della bocca sua
il mondo diveniva di color fosco. Osservò quella cosa
Hôsheng con attenzione e prudenza, prese una pietra e
mosse a battaglia. Con la suà eroica forza, scagliando
la pietra, stese la mano, ma il serpe che il mondo ardeva,
saltò lontano dal cercante il mondo (che cerca il potere
del mondo, principe). Sopra una grossa pietra urtò la
pietra piccola, e l'una e l’altra pietra si ruppero in parte.
Uno splendore apparì da ambedue le pietre, e quel luogo
petroso divenne color di fuoco per lo splendore. Non
restò ucciso il serpe; ma, dal secreto (dal luogo dov’ era
nascosto), da quella pietra cioè, uscì il fuoco. Quando
alcuno batte il ferro sopra una pietra, da essa vien fuori
una luce. Il re allora, signor del mondo, dinanzi al
Creator del mondo fece adorazione e ne celebrò le lodi,
perchè gli aveva dato in dono quella luce; ed egli quindi
in quel momento fece sè che il fuoco fosse quello a cui si
volgessero gli uomini nel pregare (v. il Vocab.). E disse:
<pb n="243"/>
È questa una luce divina; è d’uopo adorarla, se pure
siete voi (sing.) assennati. Venne la notte, ed il re accese
un fuoco come un monte, ed egli stava in giro attorno
ad esso con la sua gente. Fece festa in quella notte e
bevve vino, e fece (destinò) il nome di Sadeh a quella
festa felice. Questa festa Sadeh rimase qual ricordo di
Hôsheng; possano essere molti i principi come lui! poichè
egli col far bello il mondo, lo rese felice, e gli uomini
fecero ricordanza di lui in bene.
Con tale gloria divina e tale potenza di re, dalle
fiere selvagge, dagli onagri e dai cervi procaci separò i
bovi, gli asini e le pecore (sing. collett.), e trasse al lavoro
quelli tra essi che erazo utili. Il re del mondo Hôsheng
con avvedutezza disse alla gente: Teneteli separati a
coppie a coppie, con essi lavorate, da essi traete utile
e allevateli perchè rechino tributo a voi medesimi. Dei
quadrupedi uccise quelli di cui è utile il pelo; e trasse
loro la pelle, come scoiattoli, armellini e volpi astute, e
in quarto luogo conigli che hanno molle il pelo. In tal
maniera con la pelle dei quadrupedi vestì la statura (il
corpo) dei parlanti (degli uomini; v. il Vocab.). Così egli
fece doni e fu liberale e godette e fu contento, poscia
morì (lett., andò), nè restò di lui che la fama sua buona.
Per quarant’ anni, con soddisfazione e contentezza, con
giustizia e liberalità esistette (visse) quel glorioso. Molti
dolori sopportò in questa vita con cure e pensieri in-
numerevoli; ma quando sopravvenne anche per lui il tempo
del bene (del morire), di lui rimase qual retaggio il trono
della grandezza; il fato non gli concesse lungo tempo di
vita, e partissi dal mondo quel re Hôsheng con la sue
prudenza. — Il mondo non stringerà mai amicizia con
te, nè mai ti mostrerà aperto il volto (così parla Firdusi
della instabilità della fortuna).
<pb n="244"/>
II. IL RE Dahâk.
(Vedi l’Introduzione premessa al testo).
Eravi un uomo in quel tempo della campagna abitata
dai cavalieri armati di lancia (i deserti d’Arabia abitati
da gente bellicosa), re insieme di gran valore e insieme
uomo onesto, pieno di sospiri per timore del Reggitor
del mondo (Iddio). Il nome di quel valoroso era Mirdâs,
ed egli per giustizia e per liberalità era uomo di supremo
grado. A lui di quadrupedi (sing.) da mungere venivano
a quel luogo (si radunavano alla sua casa) le migliaia
(sing.) di ogni sperze, porchè egli, quell’ uomo di pura
religione, aveva consegnato ai mungitori (da mungere e
da custodire) capre e cammelli e pecore parimente e in-
sieme vacche lattanti ai servi (sing. v. il Vocab.) suoi e
insieme arabi cavalli leggiadramente correnti. A chiunque
poi avesse bisogno di latte, per cotesta cosa desiderata
egli stendeva la mano (cioè concedeva di prenderne libera-
mente). Quest'uomo di pura religione aveva un figlio, pel
quale non aveva parte piccola d'amore. Questo giovane
desideroso di regno (ambizioso) aveva nome Zahhâk
(Dahâk, v. il Vocab.), ed era coraggioso e precipitoso e
imperterrito. Tutti lo chiamavano Bîverasp; tal nome
usavano allora in lingua pehlevica (v. il Vocab.), inquan-
tochè bîvar tra i numeri (sing.) pehlevici è (vale) nella
lingua derî (v. il Vocab.) diecimila; e perchè egli aveva
(lett., erano a lui) diecimila (bîvar) cavalli (asp) arabi con
auree briglie, perciò (kih) gli portavano (gli applicavano)
tal nome. gli giorno e notte per due parti (cioè per
due terzi del giorno e della notte) era (stava) in sella,
soltanto per via (a cagione) di grandezza, non per via
di guerra (cioè: cavalcava non perchè avesse da far guerra,
ma solo per fasto, per superbia).
Ora così fu (avvenne) che un giorno, all' alba, Iblîs
(Ahrimane, il genio del male, v. il Vocab.) venne (si
<pb n="245"/>
presentò al giovane Dahâk) in guisa di un-amante-del-bene
(di un uomo onesto); egli portò via (disviò) il cuore del
principe (Dahâk) dalla via del bene, e il giovane concesse
l'orecchio ai detti (sing.) di lui; e veramente gli piacque
il detto di colui, nè egli era consapevole delle malvagie
opere (sing.) sue; a lui quindi abbandonò (diede in potestà)
la mente e il cuore e l'anima pura, e sparse così sul
proprio capo la polvere (cioè: fece danno a sè medesimo).
Allorquando Iblîs conobbe che egli gli aveva dato il cuore,
alle sue arti si volse indicibilmente lieto. Molte parole
gli disse adorne e graziose, orde al giovane il cervello
(la mente) fu (diventò) vuoto di conoscenza (si smarrì,
si lasciò sedurre). Iblîs andava dicendo: Io ho (conosco,
so) molte parole (cose) le quali nessuno fuor di me
conosce. — Il giovane disse: Dille e tanto non indugiarti,
insegnare a noi tu, o uomo dai retti consigli — A lui
disse Iblîs: Desidero prima di te (da te) un patto, e poscia
allora ti svelerò veramente queste parole. — Il giovane
era semplice di cuore e il patto fece con lui, e come
quegli comandò, pronunciò il giuramento, dicendo: Il tuo
secreto io non dirò con alcuno assolutamente (lett., dal
fondamento, cfr. lat.funditus); da te io udirò (ubbidirò a)
qualunque parola tu mi dirai.
Iblîs allora gli disse: Nella tua casa perchè mai, o
giovane celebrato, è necessario qualche altro principe
fuor di te? A che è necessario un padre, quando vi è
un figlio come te? A te ora conviene udir da me un
consiglio. Per questo principe carico d'anni (Mirdâs)
resta ancora un lungo tempo (egli ha molto tempo da
vivere ancora), e tu restera nell’ oscurità. Prendi (occupa)
cotesto suo reale palazzo di gran pregio; a te nel mondo
ben conviene il suo posto. A questi detti (sing.) miei se
tu presti fede, tu sei già al (nel) mondo un re.
Quando Zahhâk (Dahâk) ebbe udito ciò, fece pen-
siero (diventò pensieroso), e per il sangue (la vita) del
<pb n="246"/>
padre suo il suo cuore fi pieno di dolore. A Iblîs disse:
Cio non è conveniente. Altre cose dimmi. poichê queste
(sing.) non sono della serie dei fatti (non sono cose da
farsi). — A lui disse Iblîs: Se tu ti allontani da questa
parola (dalla tua promessa) e ti ritraggi dal patto e
giuramento mio (fatto a me), rimanga pure sul tuo collo
(culli tua coscienza) il giuramento e il patto, sii pure vile
(senza onori), e resti il padre tuo onorato (cioè con
l'autorità di re).
Cost egli portò (trasse) nel laccio il capo (l'anima. la
mente) di guell'uomo arabo (Dahâk era figlio di Mirdâs
re degli Arabi, v. sopra), e così accadde che quegli
(Dahâk) scelse (segui) il comando di lui (di Iblîs). Dahâk
allora gli domandò: Questa ia astuzia (arte, per cui io
possa ottenere il regno) con me (a me) tu esponi, nè io
mi ritrarrò dal consiglio tuo in nessuna maniera. — A lui
disse Iblîs: Io farò (metterò in opera) per te un’ astuzia,
per le quale solleverò fino al sole il tuo capo. Tu sta
attento all'opera mia affatto, nè mi è necessario l’aiuto
di nessuno. Così come sarà necessario, io farò il tutto
compiutamente; tu frattanto non trarre dalla guaina la
spada della parola (serba il secreto di ciò che ti confido).
Quel re (Mirdâs) aveva nella sua casa un giardino
assai esilarante il cuore (l'animo). Quel!’ uomo valoroso
soleva. sorgere all'alba, soleva adornarsi per adorare
Iddio (lett., per parte dell’ adorazione); il capo e il corpo
soleva lavar nascosto (nascostamente) in quel giardino,
nè alcun servo soleva portar con lui alcuna lampada. —
Per tal tristo scopo il Dêvo (Iblîs, Ahrîmane) malvagio
scavò una profonda fossa sul sentiero del giardino; poscia
egli, Iblîs il maligno, con erbe rivestì (ricoprì) questa
fossa profonda e calcò (appianò) la via. Venne la notte;
volse il volto (si diresse) al giardino il capo degli Arabi,
un principe desideroso di gloria. Quando giunse vicino
a quella fossa profonda, ad un tratto a capo-in-giù andò
<pb n="247"/>
(rovinò) il capo della fortuna di gel re (per dire: il re
stesso). Cadde entro la fossa e s’ infranse sfracellato le
membra; partì (morì) quell uomo di retto cuore, servitor
di Dio. In ogni bene e in ogni male fu quel re uomo
generoso, egli che per il figlio giovinetto aveva tanto
sospirato, e l'aveva nutrito con vezzi e con cura (lett.,
dolore), per lui era lieto e a lui aveva donati tesori (sing).
Cotal figlio di lui, audace e di ree opere, non cercò (non
volle) per via d'amore il patto con lui (non volle essere
amico del padre, non volle unirsi con lui ad un patto),
ma diventò complice di Iblîs contro il sangue del padre.
— Io ho udito da un sapiente questa storia, che cioè se
un figlio malvagio fosse ache un feroce leone, non è
mai (non si fa) però (ham) ardito contro il sangue (la vita)
del padre.
Con quest’ astuzia il vile Dahâk, ingiusto, occupò il
trono del padre, sul capo si pose la corona degli Arabi
e fra loro dispensò utile e danno (premiò o punì, secondo
le opere). Allorquando Iblîs vide compiuta cotesta cosa
(lett., vide congiunta, accomodata questa parola), pose
fondamento ad un altro inganno novello, e disse a lui (a
Dahâk): Poichè a me ti sei rivolto e nel mondo hai
trovato compiuto tutto il desiderio del fo cuore, se così
pure farai ancora un patto con me, nè ti ritrarrai dai miei
detti (sing.) e farai (eseguirai) il mio comando, il mondo
da confine a confine è (sarà) per te (il tuo) regno, le
fiere con gli uccelli e coi pesci (sing.) sono per te (saranno
cosa tua). — Poichè questa cosa fu detta, egli un altro
affare incominciò, e intraprese, oh! meraviglia, un’ astuzia
in altra maniera.
Egli fece (lett., ornò) di sè stesso un giovinetto (si
trasformò in giovinetto), pronto nel parlare (lett., dicente
parole), di cuore veggente (avveduto) e di puro corpo.
Tosto egli si rivolse a Dahâk, nè aveva sul labbro altro
dettò fuorchè le sue lodi (sing.); gli diceva zutanto:
<pb n="248"/>
Se io sono conveniente per il re, celebre e puro cuoco
sono io. — Quando Dahâk udì ciò, lo accarezzò e per
parte (per via, propter) di preparargli il cibo gli fece
(destinò) un luogo. Il maggiordomo che aveva autorità
spedita (libera nel comando), gli diede la chiave della
cucina. A quel tempo non era molto il nutrimento (i mezzi
di nutrirsi erano scarsi allora), poichè il cibo era privo
(lett., da meno) degli azzziali uccisi (non si usava ucci-
dere animali per cibarsene); gli uomini infatti a quel
tempo non mangiavan di nulla fuor che di erbe e di
qualunque altra cose ancora che solleva il capo (spunta)
dal suolo (caz = cih az). Ma poi Ahrîman (Iblîs), dalle
opere ree, fece (concepì) questo consiglio, fece luogo nel
suo cuore (accolse) all’ intenzione di uccidere gli animali.
Di ogni specie di uccelli e di quadrupedi fece (preparò)
cibi (sing.) e ad un tratto li portò al luogo (li apprestò
a Dahâk sulla mensa). A guisa di un leone egli lo
(Dahâk) nutriva col sangue, per questo cioè per far tru-
culento (crudele) il re, perchè eseguisse (lett., facesse il
comando) qualunque parola (cosa) gli dicesse, e ponesse
come pegno il suo cuore al suo comando.
Da principio gli diede per cibo il giallo delle ova e
con questo lo tenne vigoroso (lo sostentò) per qualche
tempo, e quegli si cibava e veramente faceva lodi di lui
(si lodava assai del novello cuoco). Quell' uomo di turbata
fortuna (disgraziato) trovò gusto da (in) quel suo mangiare.
Così poi disse Iblîs facitor d'incanti: Vivi eterno, o re
potente, poichè io domani (fardât = fardâ + at) ti farò un
cibo di tal maniera che d'esso ti sarà (ti verrà) nutrimento
del tutto (ne userai sempre per nutrirti) — Se ne andò,
e per tutta la notte stette a pensare (lett., prese cura, o
pensiero) qual prodigio dovesse fare alla dimane col cibo.
All’ altro giorno, quando la volta di lapislazzuli (la volta
azzurra del cielo, v. il Vocab.) sollevò e mostrò il fulvo
rubino (il sole), preparò eglii cibi di carne di pernice e
<pb n="249"/>
di fagiani bianchi e se n’andò (si presentò al re) con un
cuore pieno di speranza. — Allorquando il re degli Arabi
alla tavola portò (stese) la mano, abbandonò il s%0 capo
di poco senno all’ amore di lui (di Iblîs; cioè, Dahâk
cominciò stoltamente ad amarlo). — Al terzo giorno, Iblîs
gli adornò (imbandì) la mensa di uccelli e di agnelli tutt’
a un tratto e in varia maniera. Al quarto giorno, quando
egli pose la mensa, gli preparò un cibo fatto col tergo
di un giovane bue, in cui eran mescolati zafferano e acqua
di rose e insieme vecchio vino e puro muschio. Allor-
quando Dahâk stese la mano a quel cibo e ne mangiò,
gli venne meraviglia per quell’ uomo sapiente, e gli disse:
Guarda fin dove è il tuo desiderio (pensa cosa desideri
da me); ciò che vuoi mi chiedi, o uomo d' indole pre-
clara. — Il cuoco gli disse: O re, vivi sempre lieto e
obbedito nel tuo comando. Il cuor mio è tutto pieno
d'amore per te (tust = tu ast), e tutto il conforto dell’
anima mia è (viene) dal tuo volto. Un bisogno (un desi-
derio) io ho da parte (lett., da vicino) del re, e se
anche questo diritto (lett., fondamento, grado) io non ho,
pure (kih) il re mi dia comando (mi permetta) che io
baci le sue spalle (sing.) e su di lui (sulla sua persona)
applichi gli occhi (sing.) e il volto mio. — Quando Dahâk
udì il detto di lui, non conobbe (non intese) il suo secreto
intendimento (lett., affare, mercato) e gli disse: Io già ti
concedo (tempo pass.) questo tuo desiderio, purchè (solo
perchè) possa acquistar grandezza il tuo nome. — Permise
quindi che il Dêvo, come se fosse l'amico suo, desse
(tempo pass.) un bacio sulle sue spalle. Quando quegli ebbe
dato il bacio, sparì nel suolo (sotterra); nessuno nel mondo
aveva mai vista tal meraviglia. Frattanto due serpenti
neri gli sbucarono da ambedue le spalle; egli restò coster-
nato e da ogni parte cercò un rimedio. Alla fine li
recise ambedue dalle spalle — e ben giusto è (lett., è
conveniente) se per questo racconto tu resti nello stupore
<pb n="250"/>
(tu resti attonito) —; ma come un ramo di un albero
quei due neri serpenti crebbero (si rinnovarono) un' altra
volta sulle spalle del re. — I medici sapienti si raccolsero
e tutti, uno all’ altro, fecero discorsi (si consigliarono sul
da farsi), fecero incanti d'ogni specie, ma per quel dolore
(male, affanno) del re non conobbero alcun rimedio. Ma
poi finalmente, alla maniera (sotto l'aspetto) di un medico,
sopravvenne Iblîs, s'avanzò vicino a Dahâk con avvedu-
tezza, e gli disse: Questo fatto che doveva essere (accadere),
ora è accaduto (era destino che dovesse così avvenire);
ti arresta, poichè ciò che deve crescere, non convien
recidere (i serpenti); prepara loro il cibo e dà loro riposo
col cibo, nè conviene, oltre (guz) questo, far altro rimedio
di più (nîz). Non dar loro alcux altro cibo fuorchè cervella
di uomini; forse che per questo nutrimento essi di per
sè stessi (khvad) moriranno.
Il capo dei fieri Dêvi (Ahrîmane, Iblîs) con questo suo
desiderio (proposta fatta a Dahâk) cosa volle o cosa vide
(a qual meta mirava) in questo suo detto, fuorchè (tâ,
affinchè) di fare (ordire) secretamente una frode, perchè
vuoto di uomini restasse il mondo? (Ahrîmane, genio del
male, vuol distruggere la creazione di Ormuzd che è il
genio del bene, e vorrebbe quindi distruggere anche gli
uomini che sono stati creati da lui).
III. SCONFITTA DI Dahâk.
(Vedi l’Introduzione al testo).
Il re Dahâk per quei detti (di Kundrav, v. l'Introd.)
venne in senno e tosto volle partire (lett., si partì);
comandò che i servi ponessero la sella a quel suo cavallo
percorritor di strade e sagace; ed egli sen venne correndo
con un formidabile esercito di feroci Dèvi insieme e di
guerrieri. Da (o, per) luoghi inaccessibili (lat. invia) prese
la via verso il suo castello, verso i luoghi abitati (v. il
<pb n="251"/>
Vocab.) e pose il capo alla guerra (cominciò l’opera della
vendetta, da che Frêdûn gli aveva occupata la reggia).
L'esercito di Frêdûn (v. il Vocab.) quando fu (plur.) consapevole di ciò,
tutto insieme si volse per quell’ aspra
(lat. invia) strada (per la quale Dahâk veniva). Nel
primo scontro dall’ alto dei cavalli di guerra discesero
(lett., si versaron giù) i guerrieri, in quel luogo angusto
vennero alle mani. Intanto in ogni terrazzo e in ogni porta
erano (si erano raccolti) uomini della città; e chiunque
aveva parte (cognizione) dell’ arte militare, tutti erano in
desiderio di (desideravano) Frêdûn, poichè eran pieni di
dolore per la violenza di Dahâk. Dalle mura mattoni (opp.
giavellotti, v. il Vocab.), dai tetti pietre e spade e freccie
di legno duro piovevano giù nella via (sopra le schiere
di Dahâk) come grandine da una nera nuvola, nè alcuno
aveva sul suolo un luogo stabile (non poteva reggersi in
piedi, non poteva resistere a quei colpi). Dentro la città
chiunque era (plur.) giovane, come anche i vecchi che
erano esperti nella guerra, si mossero verso l’esercito di
Frêdûn (si unirono alle sue schiere) e uscirono (disertarono) dagli incanti (sing.) di Dahâk. Della voce degli
eroi risuonava il monte, e la terra era oppressa dai ferri
dei piedi dei cavalli; sopra il capo der combattenti si
agglomerò un nugolo di nera polvere e il cuor delle rupi
schiantò ai colpi delle lancie (sing.; espressione iperbolica).
Frattanto da un tempio del fuoco si levò un grido
che diceva: Se anche una bestia feroce fosse fosta sul
trono come re, noi tutti obbediremo, vecchi e giovani
(sing.), nè, ad uno ad uno (tutti), ci allontaneremo mai
dal suo cenno. Ma non vogliamo Dahâk sul trono, quell’
uomo impuro che ha i serpi sulle spalle (v. il c. antecedente).
Allora soldati e cittadini (sing.), agglomerati a guisa
di un monte, tutti insieme in una schiera si spirgevano
entro la mischia, onde da quella splendida città si sollevò
una densa polvere tale che il sole diventò pallido (lett.,
<pb n="252"/>
color di lapislazzuli). Ma intanto Dahâk vinto dalla rabbia
si mosse cercando guadche astuzia (rimedio alla rovina),
e dal suo esercito si rivolse alla sua reggia; coprì di
ferro (d'una maglia di ferro) interamente il suo corpo per
questo, perchè nessuno della folla lo riconoscesse, e si
recò tutt’ ad un tratto (difilato) all’ eccelsa reggia con in
mano un laccio di sessanta cubiti. Vide egli Shehrnâz
(sposa di Dahâk che ora, per i cattivi trattamenti ricevuti, congiura con Frêdûn contro di lui; v. il Vocab.), la
bella dagli occhi neri, trattenersi secretamente con Frêdûn
piena di carezze (?, lett., magia, incanto). Ambedue le
sue guancie erano candide come il giorno, e ambe le sue
ciocche di capelli (dall una e dall’ altra parte del volto)
nere come la notte, e il suo labbro era dischiuso al biasimo di (per biasimare) Dahâk. Allora den conobbe Dahâk
che quel fatto era divino (avvenuto per voler di Dio),
che non avrebbe trovato scampo dalla mano del male
(dalla meritata pena), onde dentro il suo cervello (la sua
anima) si levò il fuoco della gelosia, ed egli dentro alla
reggia avventò contro di Shehrnâz il laccio direttamente.
Nello stesso tempo. (hamân) egli trasse dalla guaina la
spada acuta, nè aprì il suo secreto, nè pronunciò il proprio
nome (egli infatti s'era travestito per non farsi conoscere,
v. sopra); nel suo pugno era (stava) la rilucente spada,
ed egli era assetato del sangue delle fanciulle che hanno
il volto di Perî (Shehrnâz ed Ernevâz, sue spose, che ora
s'erano date a Frêdûn). Quando egli ebbe posto il piede
sul suolo scendendo da cavallo, Frêdûn si mosse contro
di lui a guisa di turbine, portò la mano (afferrò) a quella
sua clava che-aveva-effigiato-in-cima-il-capo-di-una-giovenca
(v. il Vocab.), la calò a lui sul capo e gli spezzò la celata.
<lp><p>
Ma sopravvenne correndo il beato Serôsh (angelo
messaggiero di Dio, v. il Vocab.). Non colpirlo, disse,
poichè non azzora è venuto il suo tempo. Tosto, sfracellatò (calpesto) com’ è, legalo come una pietra e portalo
<pb n="253"/>
lontano finchè ti si presenteranno due stretti monti. Entro
quei monti (sing.) siano i suoi ceppi (sing.; sia il suo
carcere), nè vengano a lui (nè possano venire a consolarlo) i suoi parenti o i suoi collegati. — Frêdûn quand’
ebbe ciò udito, lungamente non s’indugiò, ma apprestò un
laccio di cuoio di leone; con quel vincolo gli legò le due
mani e la persona in modo che nemmeno un elefante
furioso avrebbe sciolto quel vincolo.
<lp><p>
Frêdûn quindi si assise sull’ aureo suo trono (ûy
si potrebbe riferire anche a Dahâk, e allora si dovrebbe
tradurre: il trono di lui, di D.), e rifiutò (abiurò, proscrisse) i non belli costumi di lui (di Dahâk). Comandò
che si facesse sulle porte un grido (un bando), cioè: O
principi (lett., celebri) con splendore e virtû (illustri e
virtuosi), non conviene che piu stiate con gli arnesi della
guerra e per questa via vi cerchiate lode e (o) vituperio.
Non conviene che il soldato e l'artefice, ambedue per
una stessa via, cerchino il valore (dar prove di valore).
Uno è dato alle arti, l'altro è armato di clava (ora che
è terminata l'impresa, Frêdûn non vuole che ai suoi
guerrieri si mescoli il popolo che prima si era sollevato
ed era accorso sotto le sue armi); e dell’ uno e dell’
altro (lett., di ciascuno) è ben determinata l’opera conveniente (ciascuno ha il proprio ufficio). Che se questo
desidera l’opera (si appropria l’ufficio) di quello e quello
l’opera di questo, la terra diventa tosto interamente piena
di confusione. Poichè è in catene colui che era impuro
(di origine impura; Dahâk era arabo, dato ad Ahrîmane
ed usurpatore) e delle opere del quale (lett., di lui) aveva
timore il mondo, voi lungamente restate in pace e siate
lieti e con letizia ritornate ai lavori vostri proprii.
<lp><p>
Udì (obbedì, plur.) la gente alle parole del re,
pronunciate da quell’ uomo pieno di virtû, fornito di potere
regale; e quindi poi tutti i cittadini famosi (segnalati)
della città, chiunque cioè aveva porzione d’oro e di tesori,
<pb n="254"/>
se ne vennero (lett., andarono) con letizia e con possessi
(doni, offerte), tutti pronti nelcuore al suo comando. Il
saggio Frêdûn benignamente li accolse, per via (per
mezzo) della, prudenza conferì loro una dignità; a tutti
diede consigli (sing.) e fece una lode, e intanto faceva
ricordanza (favellava) del Creator del mondo. Diceva
frattanto: Questo è il luogo mio; per sorte propizia, la
stella della terra vostra ora è rilucente, poichè Iddio
santo dal mezzo delle genti suscitò noi dal monte Alburz
(v. il Vocab.) per questo, affinchè il mondo per mezzo
della maestà mia per voi diventasse libero dal malvagio
serpente (Dahâk). Ora, poichè misericordia ci apportò
la benevolenza di Dio, conviene con rettitudine calcare
la sua strada. Io sono signore del mondo da confine a
confine, nè mi convien seder sempre in un luogo solo.
Se no (cioè se potessi), io qui starei e molti giorni
passerei con voi.
<lp><p>
I principi dinanzi a lui diedero un bacio alla terra,
e dalla reggia si levò un suono di timballi (sing.). Tutta
la città teneva gli occhi alla reggia, fremente tutta per
quello che aveva giorni brevi (Dahâk, vicino alla sua
fine), per vedere quando mai Frêdûn traesse fuori
il serpente (Dahâk) nei vincoli del laccio, così come
conveniva. Ad un tratto uscì la turba dalla città; e
da quella città che non aveva trovata (ottenuta) alcuna parte di bene fer tanto tempo, condussero Dahâk
legato ignominiosamente, gettato piangente sul dorso di
un cammello. Frêdûn in questa maniera trasse fino a
Shêrkhân (v. il Vocab.). — Quando tu udrai questa storia,
chiama (giudica) guanto sia vecchio il mondo; molti sono
gli avvenimenti che nel monte e nel piano (in tutta la
terra) sono passati, e molti stanno per passare. — In
questa maniera adurgue Frêdûn, uomo di vigile (prospera)
fortuna, trasse verso Shêrkhân duramente legato Dahâk,
lo spinse nell’ interno delle montagne e già voleva (stava
<pb n="255"/>
per, <foreign xml:lang="grc">ἔμελλε<lforeign>) abbattergli il capo. Ma in quell’ istante
sopravvenne il beato Serôsh, e con atto cortese (lett., con
bellezza) gli disse all’ orecchio in secreto: Conduci quest’
uomo legato fino al monte Demâvend (v. il Vocab.) così
correndo e senza questa turba di fofolo. Non condur
teco se non (guz) chi non puoi a meno e nel
tempo della distretta ti accoglie al seno (ti aiuta), —
Frêdûn allora, veloce come un corriere, trasse Dahâk
al monte Demâvend, e quivi lo fece (lo pose) in ceppi.
Quando egli ebbe accresciuto (aggiunto) ancora un vincolo a quegli altri vincoli (sing.), di quello sventurato
niuna cosa più rimaneva, poichè il nome di lui, Dahâk,
era come polvere (aveva perduto ogni valore), il mondo
tutto era diventato libero dal male di lui; egli fu tolto
via (allontanato) dai suoi parenti e dai suoi seguaci, e solo
restò entro la montagna. nei suoi ceppi. — Frêdûn entro
il monte gli scelse un luogo angusto, notò (scelse per
lui) una caverna; il fondo di essa non era manifesto (non
si vedeva); arrecò allora gravi chiodi, e in un luogo in
cui dentro non era il suo cervello (scegliendo quella
parte del corpo in cui non era il cervello; <cit><quote>en êvitant de
percer le cràne,<lquote> <bibl> Mohl<lbibl><lcit>; perchè il Serôsh aveva ordinato
a Frêdûn di non ucciderlo), gli inchiodò le mani in quel
monte per questo, affinchè quivi egli rimanesse lungamente in tal durezza di pena. — Vi rimase quegli sospeso
in quel modo, mentre da lui si spargeva sul suolo il
sangue del suo cuore.
IV. NOZZE DEI TRE FIGLI DEL RE Frêdûn.
(Vedi l’ntroduzione premessa al testo).
Serv i re del Yemen chiamò a sè dinanzi il messaggiero del re (Gendel, servo di Frêdûn, mandato da lui
a Serv per chiedergli le figlie), con lui pronunciò (lett.,
spinse) molte parole con cortesia dicendo: Io sono inferiore
<pb n="256"/>
al tuo re; in ogni cosa che egli comanda, io porto
(eseguisco) il suo comando. Digli per me: «Se tu sei
grande, se i tuoi tre figli per te sono di pregio (hanno
pregio agli occhi tuoi), se i proprii figli (sing.) sono una
gioia per il re (in 3a pers., ma s'intende Frêdûn), e veramente essi sono convenienti (degni) del trono, tutte queste
parole che tu mi hai dette (mi mandasti a dire, 2a pers.,
per mezzo del tuo messo), io accolgo (approvo) e prendo
norma per le figlie (sing.) mie. Ma se il re (Frêdûn)
cercasse da me i miei occhi (sing.) e se cercasse la campagna abitata da eroi (il mio regno) e il trono del Yemen,
tutte queste cose son più vili per me (hanno minor pregio)
delle mie tre figlie, quando io non le vedessi più dinanzi
a me nel tempo che conviene (quando, dopo averle date
ai figli di Frêdûn, non le vedessi più come sono solito
alla mia presenza). Ma poi (pure) se tale desiderio ha
il re, non convien muovere il passo se non secondo il
suo comando. Secondo il comando adungue del re, queste
tre figlie mie usciranno dalla mia famiglia in quel tempo
allorquando (allora soltanto che) io potrò vedere i tre
re tuoi (i figli di Frêdûn), che vestono di splendore (glorificano) la tua corona e il tuo trono. Vengano essi lieti
vicino a me; questa casa mia oscura (umile) ne diverrebbe
lucente (ne riceverebbe onore); il cuor mio alla lor vista
ne sarebbe lieto ed io vedrei (ammirerei) la vigile anima
(plur.) loro. Dopo, a quel tempo (allora), io consegnerei
loro i miei tre occhi lucenti (le tre figlie) secondo i riti
miei (secondo il costume e le leggi della mia casa).
Quando io vedrò che il loro cuore (dei figli di Frêdûn)
è pieno di rettitudine, dietro un patto conchiuso con loro
prenderò (stringerò) loro la mano con la mano. Se poi
al re Frêdûn verrà bisogno (desiderio) della loro vista,
tosto io li rimanderò al re.»
L'eloquente Gendel, quand’ ebbe udita la risposta,
baciò il trono di lui così come conveniva. Col labbro
<pb n="257"/>
pieno di lodi, egli dalla reggia di lui (del re del Yemen)
si diresse verso il signor del mondo (Frêdûn). Andò, e
quando giunse vicino a Frêdûn, gli disse ciò che colà
(nel Yemen) aveva detto e qual risposta aveva udito.
Allora il re del mondo chiamò a sè i suoi tre figli e le
cose nascoste (sing.) fuori trasse dall’ animo intorno a
quell’ andata (infin.) di Gendel e al suo proprio intendimento, e ogni parola pura (ogni acconcia proposta) pose
innanzi. Così disse: Questo re del Yemen è capo di una
gente, quale un cipresso che getta ombra lontano (giuoco
di parole con Serv nome del re e nome del cipresso).
Egli ha tre figlie d’ intatta natura (vergini); non ha figli,
ma le figlie sue sono la sua corona. Se l'angelo Serôsh
trovasse una sposa come quelle, forse dinanzi (ai piedi)
di queste tre darebbe un bacio alla terra (farebbe qualunque
cosa per ottenere una simile sposa). Io per parte vostra
(per voi) le ho chieste al loro padre e preparai perciò
convenienti (acconcie) parole. Ora conviene che voi andiate da lui e di tutto, del più e del meno, poniate con
lui un prospero consiglio (vi concertiate con lui). Voi
siate pronti nel dire e di molto senno, con ambi gli
orecchi apposti (attenti) ai detti di lui; con dolcezza
rendete risposta alle sue parole, e quand’ egli domanderà
qualche cosa (lett., parola), ponete un retto consiglio (vi
consigliate prima di rispondere); poichè il figlio (lett., il
nutrito, sing. per il plur.) di un re non conviene che non
sia altro che assennato, facondo, di splendido (puro)
cuore, di pura religione e in qualqunque fatto (cosa) gli
venga innanzi, previdente, con la lingua pronta alla veracità; prudenza sza la sola cosa da lui desiderata; i tesori,
da lui dispregiati. Voi ora ascoltate da me tutto ciò
che io vi dico, poichè se mi obbedirete, sarete contenti. —
Il re del Yemen è di profonda vista (di acuta mente),
tale che come lui non vi è nessuno presso qualunque
gente, facondo, di splendido (puro) cuore, di bel corpo,
<pb n="258"/>
degno d'esser lodato fra tutti. Egli ha del pari tesori
molti e del pari eserciti, sapienza del pari e consiglio e
del pari corona, nè conviene che vi trovi giovani dappoco,
poichè quest' uomo sapiente porrà in opera un’ astuzia
per provarvi. Al primo giorno egli farà (appresterà) una
sala da convito e a voi darà il primo posto. Quivi egli
condurrà le sue tre fanciulle che hanno le gote splendide
come sole, come un giardino di primavera piene di fragranze, di colori e di fregi. Farà egli sedere sovra troni
regali (sing.) le tre figlie che hanno le gote splendide come
sole, simili nella persona a uno snello cipresso. Dall'altezza e dall’ aspetto di tutte e tre non distingueranno
(nessuno potrà distinguere) una (nessuna) di esse dalla
luna, nemmeno per un poco. Ma voi sappiate che di
queste tre sarà precedente (entrerà per la prima) la
minore, la maggiore di dietro, e nel mezzo quella che
ha il volto simile a luna novella (s'intende la fanciulla di
media età). Sederà la minore accanto al maggior figlio
mio, la maggiore invece accanto al minor principe, quella
di mezzo sederà del pari nel mezzo. — Egli allora vi
domanderà: «Di queste tre fanciulle uquali quale riconoscete fer la maggiore negli anni (sing.)? quella di
mezzo quale è? e la minore quale? Vi conviene in tal
guisa portar loro il nome (nominarle, designarle).» — E voi
allora dite che quella che è superiore. (al primo posto).
è la minore, non è conveniente il seggio della maggiore
(perchè dovrebbe sedere al primo posto), quella di mezzo,
essa (khvad) sola, è (sta) nel mezzo giustamente. — Così con
tal risposta riuscirà dere a te (sing. per il plur.) questo
affare, e ognî ostacolo da parte del re del Yemen diminuirà (cesserà; qui si usa il tempo pass. come se la cosa
fosse già accaduta).
Tutti e tre i figli, generosi e buoni, tutti col cuore
posto (inclinato, attento, obbediente) al detto del padre,
dal cospetto di Frêdûn uscirono, e ne uscirono pieni di
<pb n="259"/>
sapienza e di avvedutezza. Fuorchè senno e sapere, cosa
mai poteva convenire ad un figlio cui un padre come
quello (Frêdûn) aveva allevato?
Allorquando il sole sparse il riflesso della sua luce
per il cielo e stese la porpora sull’ azzurro (lett., lapis-lazzuli; stese cioè il color rosso della sua luce sul sereno
azzurro), tutti e tre i figli di Frêdûn si mossero, si
apprestarono e vollero seco i sacerdoti come scorta. Procedettero con una schiera ordizata come il firmamento
tutti quei principi dal volto chiaro come il sole. Allorquando Serv (il re del Yemen) fu consapevole del loro
venire, ordinò una schiera rapidamente come la penna
(l'ala) di un fagiano, mandò loro incontro un’ ampia
schiera composta tanto di uomini avveduti estranei alla
sua famiglia, quanto di so? consanguinei. Entrarono
frattanto questi tre valorosi gzovizetti nel Yemen, e fuori
uscirono dal Yemen fer vederli uomini e donne (sing.);
versarono insieme nella via gemme e zafferano, e insieme
mescolarono vino con muschio; tutta la criniera dei cavalli era piena (sparsa) di muschio e di vino, denari erazo
sparsi sotto i loro piedi. Sorgeva colà un palazzo ornato
come paradiso, coi mattoni tutti rivestiti d’argento e d’oro,
ornato di drappi greci; oh! quante cose desiderabili (preziose) vi si vedevan dentro. Quivi, entro quel palazzo,
il re del Yemen li (i figli di Frêdûn) accolse; e allorquando il giorno diventò notte e li fece più arditi, quel
principe, così come Frêdûn già aveva detto, trasse fuori
da un luogo nascosto le sue tre figlie, tutte e tre nell'aspetto come luna risplendente, nè si poteva su di loro
fare osservazione (tener fermo lo sguardo). Si sedettero
tutte e tre insieme in quel segno (maniera) quale l'aveva
detto Frêdûn ai nobili suoi figli. Il principe (mih) interrogò
allora è figli di Frêdûn sul conto di queste tre preclare
fanciulle, dicendo: Di queste tre stelle quale è la minore?
quella di mezzo quale è? e la maggiore quale? Vi
<pb n="260"/>
conviene in tal guisa portar loro il nome (nominarle,
indicarle).
Quelli allora dissero a quel modo che avevano imparato e tosto così trafissero l'occhio dell’ incanto (delusero
l’astuzia di Serv; v. il Vocab.). Rimase stranamente confuso Serv del Yemen e parimente stupirono i principi di
quella gente; tosto conobbe il re valoroso che dall’ ordir
frodi non gli era venuto alcnun giovamento, orde così
parlò: Certamente questa è la via da seguire —; e diede
in isposa la minore al minore, la maggiore al maggiore.
In quel tempo che (tosto che) fu compiuto cotesto loro
affare ed essi ebber concluso il contratto dei loro affari,
le tre fanciulle ornate di serto togliendosi dinanzi (dalla
presenza dei) ai tre giovinetti coronati, con le lor gote
piene di sangue (di rossore) per vergogna del padre,
si mossero verso la stanza (si ritirarono nelle loro stanze).
piene di colore (di rossore) le gote, ma col labbro pieno
di dolci voci (detti).
Il capo degli Arabi, Serv, il re del Yemen, apportò
allora vino e raccolse in sua casa i bevitori di vino (fece
un banchetto), con cantori ornò la casa e aprì le labbra
e bevve finchè più oscura si fece la notte. I tre figli
di Frêdûn, i tre generi suoi, bevevano vino tutti e tre
alla sua ricordanza (bevevano alla sua salute); ma a quel
tempo che (allorchè) il vino fu superiore al senno (vinse
il senno), quando cioè il sonno e il riposo erano convenienti (sing., necessarii), tosto sul capo (sulla sponda) di
un laghetto di acqua di rose comandò che loro si facesse
il luogo del sonno (da dormire). Così in quel giardino
sotto gli alberi spargenti fiori dormirono quei tre generosi
di prospera sorte. — Allora il capo degli Arabi, il re
degli incantatori, pensò un suo inganno per tal cosa
(andar-ân); uscì egli da un regale roseto e fece il preparativo di un incanto. Suscitò freddo e un vento
soffiante per questo, a fine cioè di por termine alla vita per
<pb n="261"/>
loro (di farli morire). Così allora avvenne che gelò la
pianura ed il giardino, sul ‘capo (al di sopra della cam-
pagna gelata) non osavano volare i corvi. I tre figli di
quel re scioglitor d’incanti (Frêdûn) balzarono dal loro
luogo (dal letto) per quell’ aspro freddo. Con quella Zoro
divina maestà (di principi Irani, v. il Vocab. v. farr) e
con la prudenza oro, col potere sovrannaturale dei re
Irani e col Zoro valore, essi chiusero la via (delusero,
distrussero) all’ inganno del mago, e il freddo non fece
su loro alcun effetto (lett., non fece osservazione).
</p><p>
Allorquando il sole sollevò il capo dalla cima del
monte, se ne venne tosto quell' uomo inventor d'incanti,
venne cioè accanto ai suoi tre generi, uomini generosi,
per (kih) vedere le loro guancie divenute livide, essi
gelati per il freddo e con ridotta ogni opera (cosa) all'estremo, rimanendogli così le tre sue figlie quali eredi.
Tale osservazione voleva egli far su di loro (voleva veder
tali effetti del suo incanto), ma il sole e la luna (il cielo)
non eran venuti propizzi al suo desiderio. Vide là i tre
generosi simili a luna novella, seduti sul novello lor trono
reale. S'avvide allora che il so incanto non era venuto
in effetto (non era riuscito), che non era necessario (lecito)
per tal fine portare (costringere alla propria volontà), egli
stesso (di solo suo moto), la sorte.
</p><p>
Fece quindi il re del Yemen una festa, e tutti i
principi vi si raccolsero. Egli aprì le porte degli antichi
tesori, aprì quello che per qualche tempo era stato in
secreto (nascosto). Le tre figlie (accusat.) che avevano le
gote splendide come sole, belle come il giardino del Paradiso,
tali che nessun sacerdote aveva mai piantato un pino
simile a loro, con corone e con tesori, senza aver veduto
(sofferto) alcun disagio, se non che i lor capelli avevan
visto (provato) il disagio dell’ attorcigliamento (erano
stati arricciati col ferro rovente), egli (il re) condusse
innanzi, e tutte e tre le consegnò loro (ai figli di Frêdûn),
<pb n="262"/>
così che erazo tre lune novelle e tre eroi. Per l'angoscia
(di dover maritar le figlie contro sua voglia) nel suo
cuore il re del Yemen diceva: Da Frêdûn non mi venne
alcun male; ma il male or mi venne da me, poichè non sia
mai (non venga) a me alcun indizio, che una femmina sia
nata dalla stirpe di fieri principi. (Serv attribuisce tutta
la sua disgrazia all’ aver femmine in casa, non figli maschi,
perchè le femmine bisogna poi mandarle a marito).
Stima tu pure di buona stella (felice, beato) colui che non
ha figlie; poschè qualcuno quando ha figlie, la sua stella
non è splendida (non splende, non è fortunata). — Allora
dinanzi a tutti i sacerdoti Serv così disse: È conveniente
marito un re ad una fanciulla della come la luna; e voi
sappiate che questi tre occhi miei (le tre figlie) consegno
a questi giovinetti secondo il rito mio (della mia casa)
per questo, acciocchè essi le tengano care come i loro
occhi, e davanti al lor cuore le riguardino come l’anima
loro. — Qui pianse, e poi legò le some (fece legare,
preparar le some) delle spose sulla schiena di forti cammelli furiosi (indomiti). Per lo splendor delle gemme il
Yemen era diventato rilucente, i palanchini (sing.), l’uno
dietro l’altro, erazo posti in fila (lett., infilati uno dentro
l'altro; si seguivano senza interruzione), — Quando un
figlio è adorno di buon costume e di maestà, egli è caro
al cuore, tanto femmina quanto maschio (risposta del
Poeta alle parole, più sopra, di Serv). — Egli quindi
(Serv) li accomiatò, dando loro ombrello (insegna reale)
e tesori reali, e apprestò (concluse) cosè quell’ affare.
I giovinetti di vigile cuore, desiderosi della via (di ritornare), rivolsero il volto (ritornarono) verso di Frédîn.
V. MORTE DEL RE FRÉDÙN.
(Vedi l’Introduzione premessa al testo).
Quando quelle cose (sing.) furono compiute e i
giorni e la sorte si furono rivolti (mutati), avvizzirono
<pb n="263"/>
all’ improvviso le foglie dell’ albero reale (venne meno un
principe, Frêdûn, alla famiglia reale, raffigurata qui nel-
l'albero). — Frêdûn scelse invece (<foreign>az bar</foreign>) della corona e del
trono una solitudine ponendo dinanzi a sè stesso le teste
di quei tre principi (i suoi tre figli, Erag ucciso da Tûr;
Tûr e Salm uccisi da Minôcihr; v. l'Introd.). Intanto ad
ogni momento dolorosamente piangeva e viveva nell'affanno; con gemiti ad ogni momento e nel pianto quel
celebrato re andava così dicendo: I giorni miei son
trascorsi e si son fatti oscuri per questi tre figli miei,
diletti e cari, uccisi così con angoscia (così miseramente)
prima di me (opp. dinanzi ai miei occhi), per vendetta,
per desiderio dei miei nemici (sing.). Tanto (ham) per
maligna lor natura, quanto (<foreign>ham</foreign>) per le loro opere malvagie, sul volto (sul capo) di quei giovani figli miei
venne (pres. storico) tal male (tal pena). Non portarono
per nessuna ragione il mio comando (non vollero obbedirmi), e il mondo si fe’ tristo sopra tutti questi tre giovinetti.
</p><p>
Pieno di sangue (di dolore) il cuore e pieno di
pianto le due gote, così, finchè il tempo (la vita) venne
a capo (finì) per lui, Frêdûn se ne andò (morì). — Rimase
di lui soltanto il nome, mentre sopra (dopo) questi avvenimenti passò un lungo tempo. — Furono (sing.) sempre
(hamah, totalmente), o figlio, il buon nome e la rettitudine
che fecero (ebbero) vantaggio sopra la sventura. —
Minôcihr intanto depose la corona dei re, si cinse la
persona della cintura di color sanguigno (v. il Vocab.).
Secondo il costume dei re, egli fece un sepolcro (v. il
Vocab.) ornato tanto d’oro fulgido, quanto di lapislazzuli;
dentro di esso de-(zîr)-posero un trono d'avorio, e
appesero al di sopra dell’ avorio (sullo schienale) una
corona. Gli eroi d'Irania vennero allora innanzi per
fargli (al morto re) l'estremo saluto, così come era la
norma del rito e della religione. Chiusero guardi su
<pb n="264"/>
quel re (Frêdûn) la porta del sepolcro, e così quell’ uomo
pregiato si partì umile e dolente dal mondo. — Minôcihr
per una settimana fu con (restò nel) dolore, i suoi due
occhi furon pieni di lagrime e le due guancie furon pallide.
</p><p>
O mondo, interamente tu sei inganno e vento; per
te l'uomo sapiente non è mai lieto; tu li (gli uomini)
nutri ad uno ad uno con tenerezza. Che val la vita
breve e che val la vita lunga? Quando tu ciò che hai